giovedì 28 novembre 2013

Dal tramonto al Luci d'Alba

Ci sono locali fuori dal tempo che non penseresti mai possano esistere ancora oggi. Ci sono locali fuori dalla realtà che non penseresti mai possano esistere al di fuori della fantasia di un qualche scrittore o sceneggiatore. Poi un giorno ci capiti dentro per caso, un po' come Alice quando cade dentro il tunnel diretto al mondo delle meraviglie, e finisci preda di un incantesimo stupefacente che stuzzica la tua curiosità e la tua fantasia.

Di recente sono finita per la terza volta in vita mia in uno di questi locali, battezzato con un nome echeggia certe poesie del periodo romantico: "Luci d'Alba". "Luci d'Alba" fa subito pensare ad un rifugio notturno per qualsiasi amante della notte, deciso ad arrendersi al sonno solo alla vista dei primi raggi di sole mattutini. Insomma, un posto adatto come soggetto per un quadro di Edward Hopper. Segnalato da una piccola scritta al neon appesa sul muro di una vecchia casa nel centro di Padenghe, il locale è accessibile da una porta in ferro battuto e vetro sulla quale cade sinuosamente un cespuglio d'edera.

Aperta la porta ci si trova davanti una lunga scala di legno diretta sotto terra. Scendendo, tra le luci soffuse, si riesce a scorgere dei divanetti di velluto rosso, incastonati in cubicoli e palchetti in muratura che suddividono l'ambiente in piccole alcove private. Inevitabile pensare di essere scivolati in un salotto viennese dei primi anni venti del Novecento alla Schnitzler o in un locale bohémien parigino. Addirittura i personaggi dei quadri appesi ovunque sembrano annuire per cercare di convincerti che le tue fantasie siano vere.

Giunti in fondo alla scala ci si trova di fronte al cuore "pulsante" del locale: un pianoforte a coda sovrastato da un minuscolo soppalco sul quale è montata una batteria. Sul pianoforte sono appoggiate delle maracas e un tamburello, mentre dietro lo sgabello del pianista si trova una chitarra elettrica appollaiata sull'apposito trespolo di supporto. Sì, perché il "Luci d'Alba" non è un semplice "bar", bensì un "piano bar"! Uno sguardo al pianista e sembra di essere finiti in una puntata di "Tales from the Crypt". Eh sì, perché al piano siede un vecchio dalla folta chioma canuta, che altri non è se non la versione da mondo dei viventi di Zio Tibia della famosa serie horror americana.

Sopra il pianoforte è sospesa la batteria. Il soppalco sul quale si trova è talmente in alto e talmente buio che difficilmente ci si accorge immediatamente della sua esistenza. Di solito lo sguardo scova questo antro seguendo la traccia lasciata da un leggero tintinnio di piatti, fastidiosamente regolare quanto il rumore d'una goccia che cola da un rubinetto rotto. Una volta realizzato che c'è una batteria appesa sotto il soffitto, si scorge anche l'antico suonatore che vi sta seduto dietro. Probabilmente il batterista un bel giorno è rimasto incastrato dietro alla batteria ed è invecchiato lì.

La forza vitale nei due uomini è quasi totalmente scomparsa. I due continuano a suonare quasi per forza d'inerzia, ma ormai non riescono più a trasmettere né ritmo, né accenti. Da un momento all'altro si teme sempre possano accasciarsi fatalmente sullo strumento. Tutte le canzoni sembrano essere uguali: stesso ritmo, stessi accordi. Non parliamo del cantato! Probabilmente terrorizzati di vedere la loro dentiera spiccare il volo a metri di distanza, i due suonatori aprono a malapena le labbra per cercare di articolare qualche parola che inevitabilmente resta incompresa dal pubblico. Ogni volta che inizia una canzone io ed i miei amici ci sforziamo per cercare di decifrare di quale canzone si tratti. Molto spesso ci arriviamo a metà della prima strofa, perché improvvisamente ci viene in aiuto una parola articolata in maniera tale da permettere all'udito umano di decifrarla.

L'ondata di vita giunge quando si ordinano i drink. Ogni divanetto è dotato di un citofono attraverso il quale si comunica alla signora dietro al bancone la lista dei desideri. In men che non si dica giunge una briosa settantenne,ancora ben conservata devo dire - a differenza dei suoi colleghi - che si annuncia con voce squillante recando liste o bevande, a seconda di quanto le è stato richiesto poco prima. A seconda dell'orario, questa elegante signora, dai capelli mori (tinti) e dal trucco curato, può comparire sobria o allegramente alticcia. Si sa, l'intensa esposizione ai fumi dell'alcool può involontariamente causare un senso di ebbrezza... Effettuata la consegna, se le va, la barista fa una sosta vicino al pianoforte. Agguanta o le maracas o il tamburello ed inizia a scuoterli con decisione. A questo punto sorge il sospetto che questa arzilla vecchietta sia una vampira d'energia vitale, succhiata nel tempo ai due vegliardi che a fatica si trascinano tra una nota e l'altra.

Ogni volta che andiamo al "Luci d'Alba" io ed i miei amici sorseggiamo drink scambiandoci opinioni sulla vita passata di questi personaggi bizzarri, ipotizzando sul modo in cui potrebbero lasciarci le penne da un momento all'altro e ridendo degli "arrangiamenti" involontari per ciascuna delle canzoni che si susseguono durante la serata. Quando ci alziamo per andarcene tiriamo un sospiro di sollievo pensando che anche questa volta non siamo rimasti prigionieri degli spettrali gestori del bar e saliamo le scale immaginando cosa possa succedere tra quadri e divanetti nel cuore della notte, quando ormai noi ce ne siamo andati.

venerdì 18 ottobre 2013

C'era una volta in via S. Erlembaldo...

Per chi non lo sapesse, ho conseguito la laurea triennale all'Università degli Studi di Milano. Grazie al sostegno dei miei genitori, ebbi la possibilità di stabilirmi nel capoluogo lombardo per tutta la durata dei corsi, ovvero da settembre 2006 a giugno 2009. La ricerca dell'appartamento non fu molto lunga. Ebbi la fortuna di trovarne quasi subito uno bello, moderno, pulito e con degli ottimi coinquilini. Due di loro, Alessia e Antonio, sorella e fratello, erano e sono tutt'ora i proprietari dell'appartamento ed occupavano due stanze singole. Io finii a condividere la stanza con Angela, una ragazza della Basilicata poco più grande di me, già laureata e in cerca di lavoro. Tre anni di convivenza, soprattutto con la mia compagna di stanza, hanno ovviamente segnato la mia maturazione, sia dal punto di vista individuale che dal punto di vista delle mie attitudini sociali. Mi rendo conto che quest'ultima affermazione richiederebbe almeno qualche esempio giustificativo, ma raccontare qui tre anni della mia vita sarebbe troppo complesso e in ogni caso non è questa la mia intenzione.

La mia intenzione è raccontare del fatto che ha scatenato di recente in me lunghe riflessioni su questa parte della mia vita cui non volgevo spesso la mente da parecchio tempo. Un po' come quando continui ad accumulare oggetti del tuo passato in soffitta e un bel giorno decidi di fare pulizia. E finisci col sederti per terra in mezzo alla polvere a perlustrare uno per uno gli oggetti che escono dalle scatole, perdendo la cognizione del tempo tra un pensiero, un sorriso, una lacrima. Ebbene, devo ammettere che dopo aver lasciato l'appartamento nel 2009 ho mantenuto pochi contatti con i miei ex coinquilini. Con Angela ho avuto uno scambio di messaggi saltuario fino al 2010, ma lentamente il sipario del silenzio è calato anche sul nostro rapporto. Inoltre Angela, viaggiatrice impenitente, si era stabilita in Lussemburgo, per poi fare una capatina in Canada per un corso di lingua e poi tornare per trasferirsi infine in Francia. Quindi non sarebbe stato semplice nemmeno vedersi.

Avevo messo un po' da parte la fase milanese della mia vita, anche perché stavo ancora cercando di riprendermi dal turbamento mentale e spirituale scatenato in me da quel tornado che è l'Erasmus. Ma a fine Settembre di quest'anno, una domenica sera mentre rientro dall'aperitivo con gli amici, sento lo squillo del cellulare. Lo estraggo dalla borsa e vedo la notifica di un messaggio di Facebook. Apro e vedo che il mittente è proprio Angela, la mia ex coinquilina. Inizio a leggere il messaggio ancora a bocca aperta e più leggo, più mi cala la mandibola: Angela è tornata a Milano e si è stabilita temporaneamente nel nostro vecchio appartamento. Ha trovato un lavoro e dato che a breve compirà gli anni, mi invita alla sua festa. Devo rileggere un altra volta il messaggio per far sì che venga processato adeguatamente dai miei neuroni.

Angela mi scrive anche che alcuni dei suoi amici, nonché il proprietario dell'appartamento, Antonio, sarebbero felici di rivedermi e che devo assolutamente accettare il suo invito. Piacevolmente sorpresa da queste parole e colma di gioia, inizio a rispondere freneticamente al messaggio. Non vedo l'ora di tornare. E da quel momento, pian piano, cominciano a riemergere i ricordi di vari episodi e di stati d'animo che fino a quel momento erano rimasti sigillati in quella grande scatola etichettata con "Milano - Università".

Sabato 12 Ottobre, parto dunque con il mio trolley al seguito alla volta di Milano. Autobus fino alla stazione di Brescia, quindi treno (rigorosamente regionale), metro fino alla fermata di "Gorla". Imbocco l'uscita per via S. Erlembaldo - che più di un nome sembra uno scioglilingua - e non appena emergo dalla scalinata su viale Monza inizio a guardarmi in giro. Pochissime cose sono cambiate. I negozi sono sempre gli stessi, a parte il supermercato. Arrivo davanti al portone e noto che campanello e porta sono stati rinnovati. Ma a parte ciò, il resto è rimasto invariato. Salgo le scale e trovo Angela ad accogliermi sul pianerottolo. Sembra la cosa più normale del mondo, sembra che ci siamo lasciate il giorno prima, ma son passati quasi quattro anni.

Per tutto il mio breve soggiorno questa è la sensazione preponderante: non ci sono cambiamenti esteriori troppo evidenti, sia in lei che nell'appartamento. Ho una buona memoria fotografica e continuo a guardarmi attorno per scovare i cambiamenti, ma noto che sono ben pochi. Sembra quasi che la mia mente voglia ingannarsi, che voglia convincersi che non esista un divario temporale tra allora e adesso. Ma riflettendoci mi rendo conto del tempo che è trascorso, del modo in cui sono cambiata nel frattempo: è cambiato il modo in cui osservo la realtà, ho accumulato molte altre esperienze dopo essermi chiusa alle spalle per sempre la porta di quell'appartamento. E tutto ciò si tramuta in una vocina interiore che con forza combatte l'illusione creata dal mio sguardo. Queste vibrazioni contrastanti mi attraversano continuamente, mentre chiacchiero con le mie vecchie conoscenze e mi aggiorno su quello che è successo nella loro vita negli ultimi tre, quattro anni. Non sono sensazioni nuove, ma si presentano con un'intensità mai provata prima. Riparto con la promessa di tornare presto e mi lascio cullare da una malinconia dolceamara mentre attraverso il grigiore autunnale della campagna lombarda.

venerdì 27 settembre 2013

E la Mariii si sposa: secondo giorno

Il secondo giorno ci infiliamo un'altra volta nei panni del Team Clitorider e partiamo alla volta della birreria Forst di Lagundo, un paesino in provincia di Bolzano. Prima però decidiamo di fare una sosta a Tirolo (il comune nei pressi di Merano che ha dato il nome alla regione). Dopo un paio d'ore di macchina arriviamo dunque all'estero, ehm sì, cioè, nei dintorni di Merano, che idealmente si trova entro i confini di un paese germanofono. Il mio cervello entra in confusione nel momento in cui ci sediamo in un locale di Tirolo e non so in che lingua ordinare. I camerieri naturalmente si rivolgono a noi in italiano, ma con un forte accento teutonico. Alla fine opto per il tedesco, tanto per tenermi un po' in esercizio. La conferma definitiva della "germanicità" di questi tizi arriva nel momento in cui vado ad ordinare il secondo drink per la festeggiata.

Marianna prima ha ordinato un prosecco con succo di mela, ma ora vorrebbe provare prosecco con succo d'arancia. Mi alzo, cerco il cameriere e quando lo trovo glielo ordino. Lui mi guarda con sguardo sorpreso e mi chiede: "Con succo d'arancia? Non con succo di mela?" "No" gli rispondo. Al che lui mi risponde "Va bene. Si sieda al tavolo che vengo a prendere l'ordine". Ma se ti ho appena ordinato qui? Pensi che cambierà qualcosa quando tu verrai al tavolo? penso tra me e me mentre ritorno a sedermi... Due secondi dopo arriva quindi il cameriere al tavolo esordendo con "Quindi un prosecco con succo d'arancia? Non con succo di mela?""Nooo" gli rispondo io "niente succo di mela, un prosecco con succo d'arancia". Fisso il cameriere negli occhi e noto il suo sguardo impassibile, ma so che tra i suoi bei neuroni ordinati con precisione secondo un algoritmo partorito da una mente sovrumana si sta scatenando un cortocircuito d'incommensurabile violenza. E' stato apportato un cambiamento repentino e ingiustificato. Una cosa troppo complessa da rielaborare senza collassare.

Nel frattempo le nostre stupende magliette e i nostri fiocchi rosa hanno attirato l'attenzione e stuzzicato la curiosità di parecchia gente. Già prima di raggiungere il locale, per strada, un paio di signore ci ha fermato e chiesto di poterci fare una foto di gruppo. Siamo diventate un'attrazione per turisti, un circo ambulante di freaks, che riesce ad attirare l'attenzione dei passanti, sia che colgano o meno il messaggio gridato a caratteri cubitali dalle nostre t-shirt. Questa scena da red carpet si svolge anche nel "Biergarten" della birreria Forst.

Qui, in particolare, veniamo "prese di mira" da dei giovani motociclisti seduti al tavolo accanto al nostro e da alcuni vecchietti seduti ai tavoli limitrofi. I primi riprendono tutti i nostri cori ogni volta che li intoniamo e i secondi ci fotografano e vengono al tavolo per congratularsi con la futura sposa e per consigliarle di non sposarsi. Questo, del resto, è il consiglio che chiunque abbiamo incontrato in questi due giorni avesse da dispensare a Marianna. Uno addirittura giunge cantando una canzone di auguri per lo sposalizio in tedesco e quando vede che nessuna di noi canta, ci chiede (sempre in tedesco) perché non ci uniamo al suo coretto. Gli rispondo che non conosciamo la canzone e che siamo italiane (come a dire che non ci troviamo su suolo italiano... per il mio cervello evidentemente non è così). Quindi mi risponde in italiano, io proseguo la conversazione in italiano e lui ricomincia in tedesco. Dopo quattro o cinque battute in questo modo, finalmente riusciamo a sintonizzarci entrambi sulla stessa lingua.

Al vecchietto canterino segue l'intervento dei vecchietti al tavolo vicino al nostro, che ci chiedono se possono fare una foto a noi fanciulle assieme ai giovanotti motociclisti. "Mescolatevi un po', incastratevi, incrociatevi.... si insomma, mischiatevi su lì..." e ci fanno un album fotografico. Dopo aver così intrattenuto gli ospiti del Biergarten rotoliamo, piene di cibo e birra, verso il parcheggio. Mentre torniamo a casa, finestrini abbassati e musica pop a tutto volume, continuo a giocare con i fiocchi di tulle rosa che ho portato nei capelli dalla serata precedente. Li tiro, li annodo, li incastro tra il montante della portiera e il finestrino chiuso e lascio che il vento se li spupazzi per tutto il tragitto. Voglio che tutti capiscano che siamo in festa. Voglio che quei piccoli pezzui di stoffa dal colore sgargiante suscitino in loro un sorriso, mentre tentano di immaginare, nello sforzo di immedesimarsi in noi, quanto sia stato esilarante il nostro weekend.

domenica 1 settembre 2013

E la Marii si sposa: primo giorno.

Finestrini abbassati. Il vento che fischia nelle orecchie e spettina i capelli. Il riflesso abbagliante del sole sulla superficie turchese scuro del lago di Garda, increspata dal vento per la gioia di wind- e kitesurfisti che colorati sfrecciano in tutte le direzioni. Musica pop a tutto volume. Niente di meglio per entrare nello spirito adatto ad affrontare questi due giorni di festa e per scacciare il timore che qualcosa possa andare storto, che la sorpresa non risulti gradita alla festeggiata.

In un paio d'ore raggiungiamo l'hotel, scarichiamo i bagagli in camera e ci prepariamo ad affrontare la giornata. Proponiamo a Marianna, la futura sposa, due opzioni: trascorrere il pomeriggio al Breg Adventure Park di Breguzzo o fare una passeggiata al lago di Molveno. C'è da dire che Marianna aveva minacciato di sfuggire alle nostre grinfie, qualora l'avessimo coinvolta in lunghe camminate in montagna e dunque non eravamo in grado di prevedere quale sarebbe stata la sua reazione a tali proposte. Alla fine ha prevalso lo spirito coraggioso della festeggiata, che senza alcun timore ha optato per l'Adventure Park di Breguzzo. In fondo speravo proprio in questa scelta, dato che ero in preda al desiderio di sperimentare i misteriosi percorsi che il parco aveva da offrire sin dal primo momento in cui Laura me ne aveva parlato.

Ma dato che è meglio affrontare qualsiasi sfida a stomaco pieno, sulla strada per l'Adventure Park facciamo una piccola sosta in un piccolo supermercato di Breguzzo a comprare qualcosa e andiamo a fare un picnic nei pressi del torrente che attraversa il paese. Andiamo ad accamparci proprio vicino ad una baita dove ho trascorso parecchie estati in qualità di partecipante, prima, e animatrice, poi, del campo-scuola organizzato dalla parrocchia di Nuvolento. Erano anni che non ci tornavo e non immaginavo proprio vi avrei fatto ritorno, ma il caso mi ci ha ricondotto. La baita e la zona picnic sono separate dal torrente e collegate da un ponte di ferro, che veniva fatto puntualmente traballare dai ragazzi del campo-scuola ogni qualvolta veniva attraversato. Questa volta, però, io mi trovo dall'altra parte e il cancellino di sbarramento del ponte è chiuso. Si vedono delle persone girare per il prato attorno alla baita. Io sono semplicemente un'osservatrice esterna.

Terminato il pranzo ci dirigiamo finalmente all'Adventure Park. La curiosità sale. Arrivate sul posto ci dirigiamo verso la cassa e prendiamo un biglietto della validità di tre ore. Acquistiamo anche un paio di guanti e poi ci dirigiamo sul retro dell'edificio per depositare le borse ed indossare le imbracature. Gli istruttori ci fanno salire su dei ceppi in modo tale da facilitare loro il processo di imbracatura. Quindi ci dirigiamo nel punto indicatoci dalle guide dove verremo istruite sull'uso di moschettoni e carrucola. L'ultima ad essere imbracata è proprio Marianna. Alcune di noi, scherzando, dicono al giovane istruttore che la sta imbracando di fare molta attenzione, perché si tratta di una futura sposa e se le dovesse succedere qualcosa lo sposo potrebbe venire a cercarlo e vendicarsi. Il ragazzino non sembra capire la battuta e continua nervosamente a controllare che tutto sia legato come si deve mentre noi lo osserviamo ridendo.

Chiuso questo siparietto comico inizia la spiegazione. Ogni imbracatura è dotata di due moschettoni: uno resta sempre bloccato mentre l'altro è sbloccato. Per bloccare e sbloccare i moschettoni ci si serve di apposite "chiavi" poste all'attaccatura dei cavi d'acciaio che costituiscono il percorso. La carrucola è dotata di due molle laterali che si piegano nel momento in cui si infila la carrucola sul cavo. Terminato il giro di prova su un breve percorso appositamente creato per permettere alle persone di acquisire familiarità con questo sistema si inizia a fare sul serio.

Ciascun percorso si articola tra gli alberi, che costituiscono punti di partenza ed arrivo. Per ogni passaggio esiste un cavo d'acciaio al quale i moschettoni vengono agganciati, ma ogni volta il passaggio è di diverso tipo: un solo cavo d'acciaio su cui camminare; un ponte tibetano di corda; una corda cui ci si aggrappa come fosse una liana e ci si lancia dalla parte opposta; rami d'albero appesi parallelamente o perpendicolarmente alla linea di passaggio, su cui appoggiare i piedi; strutture a forma di botte in cui infilarsi; reti di corda; sacchi di sabbia che pendono sopra ad un cavo d'acciaio, da attraversare a zig-zag e infine cavi d'acciaio ai quali appendersi mediante la carrucola e da cui lanciarsi. I percorsi sono sospesi ad altezze diverse: si passa dai 4-6 metri ai 13,5 metri o addirittura ai 15 metri della piattaforma di "base jump", dalla quale ci si cala appesi ad una corda.

Naturalmente partiamo dai percorsi più "semplici". Con lentezza procediamo da un tronco all'altro. Sono piacevolmente sorpresa dal fatto che nessuna delle ragazze si tira indietro, nonostante io sappia che alcune di loro siano terrorizzate da cose di questo genere. Il primo momento di panico arriva quando Michela, che si trova proprio davanti a me nel percorso, effettua il primo attraversamento con liana. Giunta in prossimità del punto d'arrivo non riesce ad afferrare la corda legata all'albero per tirarsi sulla piattaforma posta attorno al tronco e rimane quindi sospesa in aria a metà percorso. Vediamo il terrore nei suoi occhi, finché una delle guide non giunge ad aiutarla a raggiungere la base. Ma questo episodio non ferma lei e non inibisce neppure noi.

Quando decidiamo di affrontare il percorso destinato al solo uso delle carrucole alcune di noi, che soffrono di vertigini, giustamente si ritirano. La festeggiata, che è sempre stata in testa al gruppo, è la prima a scivolare sui cavi d'acciaio appesa alla carrucola. Senza esitazione si lancia, ma arrivata a fine percorso non riesce ad afferrare la corda per trascinarsi sulla piattaforma e rimbalza indietro, restando sospesa a circa 13 metri da terra. Una delle guide le lancia una corda da sotto, lei l'afferra e viene trascinata in questo modo al punto d'arrivo. Quindi prosegue tranquilla.

Quando giunge il mio momento, ho un attimo di esitazione. Mi trovo a 13,5 metri d'altezza, sotto di me il prato e la strada e, dopo aver assicurato la carrucola, non mi resta che lanciarmi. Ma il mio cervello mi blocca. Come faccio a saltare semplicemente nel vuoto appesa solo per una misera imbracatura? Avrò forza nelle braccia per restare appesa alla fascetta che parte dall'imbracatura e termina nella carrucola? Cosa succede se inizio a ruotare su me stessa mentre sono in volo? Quando finalmente trovo la forza di zittire il mio cervello sposto i piedi nel vuoto e parto.

Incredibile! Sto scivolando appesa ad un filo, persino ad una discreta velocità! Mamma che mal di braccia, quando arrivo in fondo? Il tempo di pensare queste cose e mi ritrovo a pochi millimetri dal tronco non sapendo che fare. Sbaaam! Mi schianto contro l'albero e rimbalzo indietro. Inizio a scivolare indietro e non sento la voce della guida che da sotto mi dice di staccare le braccia dalla fascetta dell'imbracatura, in modo tale che il peso del mio corpo mi blocchi interrompendo la scivolata al punto di partenza sul cavo. Mi viene lanciata la corda e l'istruttore mi trascina alla piattaforma.

Non faccio in tempo a riprendermi dalla cosa che mi trovo davanti un cavo ancora più lungo al quale appendermi. Faccio un respiro profondo e mi lancio, concentrandomi sulla benedetta corda da afferrare al momento dell'arrivo. Per strada, però, sopraggiunge un altro problema: inizio a roteare su me stessa! Non posso arrivare al tronco di schiena, altrimenti non riuscirò mai ad afferrare la corda e si ripeterà la scena precedente. Non può succedere. Inizio quindi ad oppormi al moto rotatorio con tutte le mie forze e riesco così ad arrivare col fianco destro rivolto verso l'albero. Afferro la corda e mi trascino sulla piattaforma.

Terminate le tre ore che avevamo a disposizione, ci liberiamo dell'imbracatura e ci dirigiamo verso l'auto. La nostra attenzione però viene attirata dalla festa degli alpini che si sta svolgendo nell'edificio lì accanto. Ci soffermiamo a dare un''occhiata e subito si svolge davanti ai nostri occhi una scena epica, che ci trascina immediatamente nella festa. Sotto al portico della casa degli alpini un saxofonista sta suonando sulla base di Billie Jean di Michael Jackson. Gli unici ballerini sono una coppia di anziani, di origine sudamericana a giudicare dal loro aspetto. Il vecchio tiene in mano un bastone e si muove lentamente. Improvvisamente, questi, mosso dall'energia del ritornello, lancia lontano da se il bastone e si lancia in un balletto che pare copiato alle coreografie del grande Michael. Miiii, il primo miracolo di Michael Jackson!!!! Alla vista di ciò decidiamo di fiondarci sotto il portico e iniziamo a ballare coi vecchietti, estremamente contenti di avere nuove compagne di ballo. Il vecchietto si carica ancora di più ed inizia a piegarsi sulle gambe abbassandosi e rialzandosi gradualmente a terra sempre a ritmo di musica.

Dopodiché, mi stacco dal gruppo per andare a prendermi una birra al bar, dato che arrampicarmi su e giù per gli alberi mi ha fatto venire un po' di sete. I ragazzi al bar mi chiedono quante ragazze ci sono nel gruppo e generosamente propongono di offrirci da bere. Quindi, ci spostiamo ad un tavolo per bere, dove siamo raggiunte da quello che credo sia il presidente dell'associazione degli alpini locale, che fa da vocalist della festa. Gli spieghiamo perché ci troviamo lì e lui inizia a sgranare frasi di augurio per la futura sposa. Chiede di baciarla, chiama a raccolta un paio di ragazzi per fare lo stesso e poi dà ordine al saxofonista di far partire la canzone che ha scelto di dedicarle. Dopo un'introduzione del tipo "Eh, è una canzone un po' spinta..." partono le note della famosissima "You Can Leave Your Hat On" di Joe Cocker.

L'ultimo ragazzino che risponde alla chiamata del capo degli alpini avrà a malapena diciassette anni. Giunto al tavolo inizia a scrutarci una per una, mentre presta orecchio all'alpino che gli dice di baciare la sposa. Lo sguardo del ragazzino è ormai puntato su Francesca B. e i suoi occhi rivelano chiaramente la speranza che la sposa sia proprio lei. Ormai assorto da un unico pensiero, non ascolta più l'adulto e si dirige verso Francesca che è seduta all'estremità della panca. Dopo averla apostrofata con un "Ehi, bionda!" le chiede di fargli posto accanto e lui si sistema al suo fianco soddisfatto della conquista. Inutile dire che noi altre scoppiamo in una fragorosa risata. L'allegria è nell'aria. Penso che sia proprio piacevole ricevere un accoglienza di questo tipo e a come sia soddisfacente il fatto che tutto stia procedendo alla grande, nonostante il programma della festa non sia stato pianificato nei minimi dettagli. Partiamo da Breguzzo urlando a ripetizione dai finestrini "E la Mariiii si spooosaaaaa" con accompagnamento del clacson. Giungiamo in hotel e ci prepariamo per la sera.

Marianna viene bendata mentre le facciamo indossare la t-shirt, il gilè, il velo e la gonnellina di tulle fucsia. Quindi anche noi indossiamo le nostre t-shirt del team "Clitorider" e ci infiliamo del tulle rosa fra i capelli. Infine lasciamo che Marianna si tolga la benda, inforchi gli occhiali e scopra come l'abbiamo conciata e come ci siamo conciate. E' giunto il momento di mostrare al mondo questo nuovo team di bikers tutto al femminile.
Scendiamo nella hall dell'albergo per un aperitivo ed iniziamo a raccogliere i primi sguardi stupiti e divertiti dei clienti dell'albergo. Terminato l'aperitivo, ci dirigiamo verso una festa di paese indicataci dal figlio degli albergatori, descritta come a pochi chilometri dall'hotel.

Pochi chilometri dall'hotel? Ehm, non esattamente. Guidiamo per circa venti minuti e quindi imbocchiamo una stradina che si arrampica su per il monte. Le curve non finiscono più e della festa nemmeno l'ombra. Dopo innumerevoli tornanti giungiamo al luogo della festa, che però sembra semi-deserta. D'altronde sono quasi le dieci della domenica sera, è comprensibile che non ci sia molta gente in giro. Deluse, stanche e affamate, facciamo inversione e ci fermiamo in un ristorante carino poco lontano dall'albergo, le cui specialità sono polletto alla brace e pizza e che fortunatamente tiene la cucina sempre aperta. Sedute attorno al tavolo ci rimpinziamo di cibo riprendendoci dalla lunga giornata, finché, sopraffatte dalla stanchezza, ci alziamo da tavola e ritorniamo in hotel. Buonanotte.

venerdì 23 agosto 2013

E la Mariii si spooosaaaa: antefatto.

Occhi che bruciano, due botte sul braccio sinistro, bicipiti e tricipiti doloranti, stomaco fin troppo pieno e un paio di taglietti sulle ginocchia. Sono stata rapita da uno stalker che mi ha picchiata e ha tentato di uccidermi costringendomi ad ingerire cibo fino a scoppiare? No, sono semplicemente reduce dal mio primo addio al nubilato. Eh sì, perché tra un mese la mia amica Marianna si sposa e per l'occasione io e altre sei amiche abbiamo organizzato una festicciola coi fiocchi (di tulle fucsia).

I preparativi sono iniziati giorni prima ovviamente. Dopo aver scelto il luogo di pernottamento, un albergo situato a Sarche, frazione di Calavino (provincia di Trento), ci siamo concentrate sul concetto-base della festa, realizzato naturalmente in spirito goliardico. E' stata approvata l'idea di Laura, la quale prevedeva la trasformazione del nostro gruppo in un team di riders tutto al femminile, il "Team Clitorider". La futura sposa sarebbe stata la presidentessa, Clitorider in persona, e noi le affiliate della gang. Abbiamo quindi creato delle T-shirt per la nostra associazione motociclistica: sulla schiena abbiamo disegnato il logo e il nome del gruppo, mentre sulla parte anteriore abbiamo scritto delle frasi personalizzate a doppio senso, ça va sans dire. Ogni frase faceva riferimento alla specializzazione di ciascuna centaura nel "maneggiare" un componente della motocicletta.



Una volta scelti logo e frasi, io e le altre organizzatrici ci siamo riunite alla vigilia della partenza per procedere alla realizzazione delle t-shirt. Io mi sono munita di pennarello indelebile ed offerta di disegnare le magliette, operazione che mi ha impegnato qualche ora e che mi ha fatto precipitare in uno stato allucinogeno a causa di inalazione intensiva dell'odore ingannevolmente gradevole dei pennarelli indelebili. Le altre ragazze, nel frattempo, hanno preparato il gilet nero, nonché il gonnellino e il velo di tulle fucsia e rosa per la sposa e si sono occupate di ripassare le scritte sulle magliette con tempera acrilica. Alle ore 22:00 del giorno sabato 10 agosto 2013 abbiamo portato quindi a termine il nostro goliardico piano.

Il giorno successivo andiamo a prendere la festeggiata e ci dirigiamo verso una meta a lei sconosciuta...

giovedì 18 luglio 2013

Intervista sull'Erasmus a Kassel

Toh! Oggi, per caso, ho scoperto che il video della mia intervista sull'Erasmus a Kassel è stato messo su YouTube, così adesso posso inserire il link qui.

Come si può notare immediatamente, quel giorno avevo delle occhiaie pazzesche: mi ero rivoltata tra le coperte tutta la notte precedente dall'agitazione. Le cause? Un po' d'ansia per il fatto di non sapere quali domande mi sarebbero state poste; un po' di paura di non sapere cosa rispondere e quindi finire per aggrapparmi ai luoghi più comuni in assoluto (come poi in parte ho fatto...) per evitare di fare scena muta, ma soprattutto sono stata tenuta sveglia dai ricordi di sei mesi che mi hanno investito con la potenza di uno tsunami.

Nove mesi dopo il mio ritorno ho più o meno imparato a gestire queste ondate di flashback sulla mia esperienza a Kassel, grazie anche ai continui contatti con i miei compagni d'avventura. Ma è importante che io stia sempre all'erta, perché come questo video dimostra, ci sarà sempre qualcosa che spunterà per caso sulla mia strada pronto a risvegliare in me quel sapore agrodolce caratteristico dei bei ricordi.

lunedì 12 novembre 2012

Perché proprio Kassel?


"Perché proprio Kassel?". Negli ultimi sei mesi mi son ritrovata spesso a dover rispondere a questa domanda, rivoltami soprattutto da tedeschi che sono stati o vivono in questa città nel nord dell'Assia. Alla domanda seguivano di solito commenti su quanto Kassel non spiccasse per la propria bellezza tra le città tedesche. Nelle guide turistiche è addirittura definita come “crimine architettonico”. “Certo”, rispondevo io di solito, “non si può pretendere troppo da una città che nel 1943 venne distrutta quasi completamente in un bombardamento aereo e ricostruita poi negli anni '50. Ma in questi sei mesi ho imparato ad apprezzare Kassel, che ha fatto da sfondo alla mia esperienza Erasmus”.

Kassel è una città poco più grande di Brescia, sia per estensione che per numero di abitanti: insomma, delle dimensioni perfette per permettere ad uno studente straniero di ambientarcisi in poco tempo. Il centro città è percorribile a piedi in pochi minuti e qualora ci si dovesse recare più lontano è possibile servirsi dei mezzi pubblici, gratuiti per gli studenti universitari. Per quanto il centro città non brilli per bellezza architettonica, basta spostarsi ai suoi confini per lasciarsi sbalordire dalla maestosità dei suoi parchi principali, il Karlsaue, il Fuldaue e il Wilhelmshöhe. Nel XVIII secolo ospitavano le residenze del Langravio Guglielmo IX di Assia-Kassel, successivamente trasformate in musei.

Kassel è però conosciuta soprattutto come la città della documenta, la più importante mostra di arte contemporanea a livello mondiale, della durata di cento giorni, che si tiene ogni cinque anni dal 1955. Io ho avuto la fortuna di trovarmi in città proprio nell'anno in cui si è tenuta la tredicesima edizione di questa mostra e ho potuto quindi osservare come la città si animi in occasione di questo evento. Visitatori da tutto il mondo, eventi speciali e locali temporanei aperti per l'occasione come luoghi di dibattito sui temi proposti dall’edizione corrente della documenta.

Pur non sapendo nulla d'arte moderna ho cercato di avvicinarmi a questa mostra tramite uno dei seminari che ho frequentato, incentrato sull'ambiente culturale dell'Assia e di Kassel in particolare. Ciascuno studente doveva scegliere un artista o un personaggio legato ad un'associazione culturale della regione ed intervistarlo. Consapevole dell'importanza della documenta per la città di Kassel ho deciso di intervistare il presidente del documenta forum, l'associazione che si occupa della promozione e della cura dell’archivio della mostra. Con mia grande soddisfazione l'intervista è stata poi pubblicata sul sito del Literaturbüro Nordhessen, l'associazione culturale per cui lavora il professore che ha tenuto questo seminario.

L'università di Kassel, molto giovane rispetto ad altre università tedesche, è estremamente dinamica e ben organizzata. Il sistema di accoglienza e assistenza agli studenti stranieri è molto efficiente, cosa di fondamentale importanza per favorire il loro inserimento in un ambiente a loro estraneo. Inoltre l'università non accoglie solo studenti europei: sono tantissimi gli studenti che provengono da ogni parte del mondo. Questo mi ha dato l'opportunità di confrontarmi ed entrare contemporaneamente in contatto con moltissime culture diverse dalla mia in un unico ambiente, cosa che non capita spesso.  Per una studentessa di lingue come me è stato importantissimo, sia da un punto di vista linguistico che socio-culturale. Ma soprattutto mi ha permesso di stringere amicizia con persone eccezionali.

Quest’anno il programma Erasmus ha compiuto venticinque anni e paradossalmente, a pochi mesi di distanza dai festeggiamenti, il suo futuro appare incerto. Alla luce della mia esperienza mi auguro si riesca a trovare una soluzione per garantirne la sopravvivenza, perché si tratta di un’esperienza di vita unica.